Nei labirinti complessi delle nostre esistenze, fatte di innumerevoli solitudini, stranite e disorientate da un’epoca che non ci lascia tregua, non ci lascia il tempo di raggiungerla e di capirla, troppo rapida e sfuggente, troppo contorta e forse profondamente superficiale siamo travolti dal nichilista dominio della tecnica, per dirla come Umberto Galimberti. Guidati unicamente dalla nostra autocentrata personalità, che diventa il nostro unico totem di riferimento, per seguire il discorso di Levi-Strauss.

Come ben rappresentava Baumann, parlando di società liquida, l’uomo contemporaneo ha la continua necessità di nuovi stimoli, di nuove interazioni, di nuovi bisogni da soddisfare; le nuove generazioni tendono a non tollerare la routine, pronti a rincorrere oggetti usa e getta, da rimpiazzare velocemente. Non conoscono quasi più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo di un lavoro costruito nel tempo. La mancanza di desiderio, sostituito dal bisogno di appagamento immediato, lascia un senso di vuoto e di insoddisfazione, entrambi sempre più dilaganti.

Abbiamo abolito le istanze superiori di una società che era governata da divieti e senso della disciplina, tanto rigorosa da costringerci a sentirci colpevoli, peccatori recidivi, oppressi dal nostro conflitto interno, condizionato da una imperdonabile trasgressione alle regole. Ci si deprimeva per il peso di questa colpa e spesso il terapeuta traghettava, come Caronte, le anime dei peccatori nel territorio del perdono e della redenzione, smontando pezzo per pezzo un impianto superegoico estremamente ingombrante.

Nel vivere odierno invece, quello delle possibilità illimitate e del “tutto e subito”, la vergogna e la colpa lasciano il posto ad un sentimento di insufficienza, in cui il Sé, spesso svuotato di senso, cerca dei limiti e dei significati nello sguardo empatico del curante, detentore delle regole e dei divieti, ormai estinti fuori dal setting terapeutico.

La Psichiatria Sociale, meno interessata, rispetto a molti clinici, al tema dominante “Diagnosi fantastiche e come curarle!”, ma più attenta all’uomo nel suo contesto, si pone molte domande che riguardano l’impatto di questa “evoluzione umana” sulla soggettività degli individui e sulla sofferenza che ne deriva.
Dovremo armarci diversamente per sostenere giovani che cercano la propria identità in questa società, così radicalmente cambiata in pochi decenni?

Dovremo aiutare in modo più incisivo le persone anziane, che si trovano a gestire una profonda solitudine, in un mondo che stentano a riconoscere e da cui non sono più ascoltati?
Ma se è valido l’assunto secondo cui la comunità in cui viviamo è in uno stato di profonda sofferenza e la qualità delle relazioni umane fortemente in crisi, dovremo forse preoccuparci di più anche dei soggetti apparentemente “adattati” a queste tendenze e quindi non richiedenti di aiuto e di attenzione?

Dr. Med. Amos Miozzari
Presidente SO.PSY Sezione Svizzera Italiana